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Genesi storica di una festa: la Candelora

A cura del prof. Cosmo Tridente

La festa liturgica più importante che ricorre nel mese di febbraio è indubbiamente quella della purificazione di Maria e della presentazione di Gesù al tempio di Gerusalemme, innalzato dal famigerato Erode il Grande. E’ chiamata anche “festa della Candelora” (dal latino candelarum, sottinteso festum, cioè festa delle candele), per la benedizione e consegna delle candele che la liturgia contempla in tale circostanza. L’episodio è narrato dall’Evangelista Luca (2-22): “Quando venne il tempo della loro purificazione secondo la legge di Mosè, portarono il bambino a Gerusalemme per offrirlo al Signore, come è scritto nella legge del Signore: ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore”.
Le parole dell’Evangelista potrebbero sembrare non molto chiare se non dessimo l’esatto significato. Luca mescola due prescrizioni: la purificazione della madre, prevista dal Levitico (12, 2-8), che si compiva 40 giorni dopo il parto, durante i quali la madre non poteva accostarsi ai luoghi sacri, e la consacrazione del primogenito, prescritta dall’Esodo (13, 11-16), considerata come una specie di riscatto in ricordo dell’azione salvifica di Dio quando liberò gli israeliti dalla schiavitù dell’Egitto. La cerimonia della purificazione era accompagnata dall’offerta di un agnello di un anno come olocausto o una tortora in sacrificio di espiazione. Il sacerdote avrebbe fatto il rito espiatorio e così la madre sarebbe stata purificata. Per i poveri, in luogo dell’agnello, era consentito portare due tortore: una per l’olocausto e l’altra per il sacrificio espiatorio. Infatti, Maria portò due tortore. L’espressione “purificazione” ci può sorprendere, perché viene riferita ad una Madre che aveva ottenuto per grazia particolare di essere immacolata fin dal primo istante della sua esistenza. Ma come disse Giovanni Paolo II nell’udienza generale dell’11 dicembre 1996, “non si trattava di purificarsi la coscienza da qualche macchia di peccato, ma soltanto di riacquistare la purità rituale, la quale, secondo le idee del tempo, era intaccata dal semplice fatto del parto, senza che ci fosse alcuna forma di colpa”.
Presentare il primogenito al tempio era riconoscere che Dio è il creatore, il Padre da cui tutto proviene. Così Gesù, figlio di Dio, appena nato, non solo pubblicamente tramite il suoi genitori riconosce che è del padre, ma si offre pronto alla missione che gli era stata affidata e che doveva compiere: la salvezza di tutta l’umanità. Purtroppo oggi dimentichiamo spesso di avere un Padre e un Creatore!

 
Nel tempio, Maria e Giuseppe incontrano il vecchio Simeone. La narrazione di Luca non dice nulla del passato di quest’uomo e del servizio che egli svolge in quel luogo. Alcuni testi apocrifi, ossia non canonici, lo dicono “sacerdote” (Protovangelo di Giacomo) e anche “grande maestro” (Vangelo di Nicodemo). Luca lo definisce solo “uomo giusto e timorato di Dio che aspetta il conforto d’Israele” cioè il Messia. Deve essere dunque uno dei molti pii israeliti nell’attesa del Messia e distaccati dalle vicende del tempo. Nel linguaggio biblico è detto “giusto” chi ama lo spirito e la lettera della Legge, come espressione della volontà di Dio. E’ un uomo che vive nel “timor di Dio”, conscio di trovarsi sempre alla sua presenza. La sua vita esemplare è premiata dalla promessa dello Spirito Santo che non avrebbe visto la morte se prima non avesse visto il Messia. Infatti, prendendo il bambino tra le braccia, benedice Dio dicendo: “Ora lascia, o Signore, che il tuo servo vada in pace secondo la tua parola perché i miei occhi han visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli, luce per illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele” (Luca 2-29).

Pertanto, il rito di benedizione delle candele, di cui si ha testimonianza già nel X secolo, si ispira alle parole di Simeone che chiama il bambino Gesù, “luce per illuminare le genti”. Da questo rito è derivato il nome popolare di “festa della Candelora”. I ceri benedetti saranno portati a casa e riaccesi per raccomandare al Signore l’anima di qualche moribondo, per allontanare pericoli in caso di temporali, per chiedere grazie particolari o altro. Tra i personaggi che vengono menzionati da Luca (2-36) vi è anche la profetessa Anna, figlia di Fanuèle, appartenente alla tribù di Aser. (Aser era l’ottavo dei dodici figli di Giacobbe). Questa donna pare che avesse 84 anni e fosse una profetessa, cioè a lei il popolo si rivolgeva per ricevere parole di consiglio, di saggezza, di conforto. Dopo soli sette anni di matrimonio sarebbe rimasta vedova. Certamente la morte del marito era stata una tragedia se si considera che a quei tempi le vedove venivano private della propria casa. All’epoca le ragazze si sposavano presto. Possiamo supporre che intorno ai 20 anni fosse già vedova per cui aveva deciso di servire Dio. Nel tempio lei non avrebbe ricordato i suoi anni felici ma si sarebbe impegnata in una vita di servizio, “servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere”. Anna scompare dalle pagine dei Vangeli. Di lei non si sa più nulla ma prima che Luca termini la brevissima descrizione di questa donna, ci informa del suo nuovo compito: “Sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava del Bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme”, cioè la liberazione messianica del popolo eletto.
Presso il Duomo di Molfetta, a cura della Confraternita della Purificazione, è venerata una bellissima statua lignea della Madonna. Come ci riferisce Corrado Pappagallo (Il Culto della Purificazione di Maria SS. a Molfetta, Tip. Gadaleta, Molfetta, 2006) il priore Mauro Petruzzella, il 21 gennaio 1772, commissionò a mastro Nicolò Antonio Brudaglia di Andria “una statua di legno di tiglio raffigurante Maria SS. della Purificazione con il Bambino nostro Signore in atto d’offerta al Tempio con due putti al lato, uno portando il cereo e l’altro un canestrino, e di dentro due palombi tutta compita e colorita di ogni perfezione d’altezza palmi sei, e con la sua Pedata di quella larghezza ed altezza che la statua ricerca, e ciò giusta il disegno, che si sarà mandato dal Signor don Nicolò Porto”.


La statua doveva essere fornita anche di una base quadrata con gli angoli spuntati, alta due palmi e mezzo, con quattro grappe di sotto per mettere le stanghe, dorata e argentata con la vernice d’acquavite. La statua costò cinquanta ducati, più altri due ducati per il trasporto. Il Brudaglia si impegnò a consegnarla entro la Pasqua dello stesso anno. “Per solennizzare l’avvenuta consegna della statua, il priore Mauro Petruzzella, nel mese di maggio del 1772, chiese al vescovo di poter svolgere una processione con la nuova statua per le solite strade e di esporre il S. Sacramento nel pomeriggio nella chiesa di S. Giovanni, con la recita del panegirico, seguito dalla solenne benedizione. Don Orazio Caruso, vicario generale, concesse il permesso e indicò le strade da seguire: uscire dalla chiesa di S. Giovanni per la strada del porto e, per il borgo entrare dalla porta del Castello nella chiesa del Conservatorio; per la strada della Mente e per la strada del Salvatore passare in Cattedrale, poi dalla strada di S. Gerolamo, di S. Orsola e per i Molini uscire al largo del Castello, entrare in S. Pietro e per la strada della Piazza uscire per la porta grande e ritirarsi a S. Giovanni”.
Va precisato che la chiesa di S. Giovanni, presso cui la Congregazione della Purificazione dimorò fino al 1794, era situata su via S. Domenico, proprio di fronte alla chiesa di S. Domenico. Successivamente si convenne di trasferirla nella ex Cattedrale, divenuta poi parrocchia S. Corrado, dove attualmente ha la propria sede confraternale. In passato, un’antica orazione veniva recitata in onore della presentazione di Gesù al tempio: O Gesù bambino dolcissimo, nel tempio da Maria Vergine presentato, dal santo vecchio Simeone abbracciato, e da Anna profetessa ai giudei rivelato. Miserere nobis.






* Testo a cura del prof. Cosmo Tridente. 
* Foto a cura del dott. Francesco Stanzione (processione del 2 febbraio 2006).

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